La Biennale d’Arte 2024, aperta al pubblico fino al 24 novembre e curata dal brasiliano Adriano Pedrosa, si intitola Stranieri ovunque, Foreigners Everywhere.
La Mostra a Venezia presenta 331 artisti e collettivi vissuti o che vivono in e tra 80 Paesi, a testimonianza di come gli artisti da sempre viaggino e si spostino per i più svariati motivi. L’attenzione principale della Biennale Arte 2024 è quindi rivolta a quegli artisti che sono stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, esiliati o rifugiati, in particolare a quelli che si muovono tra il Sud e il Nord del mondo.
Il pregio di questa Biennale è l’essere riuscita a dare una voce consistente a oltre trecento artisti “outsider”, appartenenti a contesti sottorappresentati dal sistema dell’arte.
Pedrosa ha infatti voluto dare spazio alle forme d’espressione spontanee e locali, spesso legate a tradizioni indigene o popolari.
In questo modo, ha messo in discussione la distinzione tra ‘alta cultura’ e ‘cultura popolare’, dimostrando come entrambe possano coesistere e arricchirsi a vicenda all’interno del panorama artistico contemporaneo.
Questo è un viaggio nel mondo, attraverso la pittura, l’arte tessile, la scultura, le installazioni multimediali, alla scoperta di popoli e tradizioni. È un’esperienza immersiva e multiforme costruita da molteplici voci e storie. Tra suggestioni e scoperte, vi troverete ad esplorare suoni e colori e vi sentirete forse anche voi “Stranieri Ovunque”.
Sommario
1 – L’ingresso al Padiglione centrale
Per la prima volta un collettivo artistico indigeno dell’Amazzonia – MAHKU (Movimento dos Artistas Huni Kuin) – si prende la scena, con un intervento monumentale sulla facciata del Padiglione Centrale.
Con settecento metri quadri di visioni sacre mediate dal rituale dell’ayahuasca, MAHKU narra la storia di “kapewë pukeni” (il ponte-alligatore), portandoci all’origine della separazione tra popoli e luoghi. Il mito descrive il passaggio tra il continente asiatico e quello americano attraverso lo stretto di Bering.
2 – Padiglione Stati Uniti: i colori dei nativi
Una svolta storica per il Padiglione degli Stati Uniti. Per la prima volta, un artista nativo americano, Jeffrey Gibson, porta la sua arte vibrante e inclusiva a Venezia. Con ‘The space in which to place me’, Gibson sfida gli stereotipi sui nativi americani: “Crescendo mi sono reso conto che la storia dei nativi americani viene spesso riportata in termini drammatici. Da bambino ci si aspettava che io fossi sempre in lutto ma allo stesso tempo io desideravo radunarmi attorno ad un falò con i miei zii e le miei zie e ridere mentre ascoltavo le loro storie … propongo dunque delle alternative, dei modi alternativi di vivere”. E infatti le opere di Gibson sono inno alla gioia di vivere e un incoraggiamento ad osare, un’esplosione di colori che invade ogni spazio del padiglione.
3 – Padiglione Marocco: la geografia della fuga
Bouchra Khalili, autrice della videoinstallazione ‘The Mapping Journey Project’, racconta, attraverso otto storie, il dramma della migrazione.
Con un pennarello, i protagonisti tracciano sulle mappe i loro percorsi di fuga, da un continente all’altro, alla ricerca di una nuova vita. Ogni tratto, ogni freccia disegnata sulla carta è un frammento di una storia più grande, fatta di speranze, paure, sofferenze e incontri.
Le mappe diventano così delle testimonianza e strumento per dare forma alla geografia della migrazione.
4 – Padiglione Svizzera: una provocazione contro il mito della superiorità occidentale
L’artista brasiliano-svizzero Guerreiro do Divino Amor ha trasformato il Padiglione Svizzero in una sorta di ‘parco dei divertimenti’ ironico e provocatorio. Con la sua opera, “Super Superior Civilizations”, l’artista prende in giro tutti gli stereotipi sulla Svizzera, come le montagne, il cioccolato e l’idea di un paese perfetto.
L’artista utilizza un linguaggio visivo ironico e kitsch, attraverso video e installazioni, anche su altri miti come l’Impero Romano.
5 – Padiglione Olanda: le sculture di cacao e l’arte che libera
Fondato nel 2014 a Lusanga, il collettivo congolese CATPC è conosciuto a livello internazionale soprattutto per la creazione di sculture realizzate con il cacao proveniente da piantagioni di tutto il mondo, i proventi delle cui vendite vengono successivamente impiegati per finanziare la nascita di progetti agricoli virtuosi e sostenibili in Congo
Le sculture di cacao esposte, raffiguranti animali e spiriti, sono in vendita.
6 – Padiglione Germania: in volo verso il futuro
Il Padiglione Tedesco alla Biennale di Venezia è diviso in tre parti, ognuna delle quali esplora il tema della soglia in modo diverso.
Il progetto di Yael Bartana e Ersan Mondtag a Venezia è composto in realtà da due opere: Light to the Nations è il modello della nave spaziale progettata da Bartana e destinata a trasportare l’umanità verso lontane galassie; il video Farewell ritrae una cerimonia pagana con danzatori e maschere di animali in un bosco di notte, una sorta di addio prima del lancio nel cosmo della nave spaziale.
7 – Padiglione Libano: un viaggio mitologico verso l’emancipazione
L’artista libanese Mounira Al Solh ci invita a un viaggio nel tempo, rivisitando un antico mito greco: il rapimento di Europa.
Lo fa mescolando pittura, scultura e video. Invece di mostrare Europa come una vittima, Al Solh ne fa una figura forte e indipendente, che decide del proprio destino.
Il viaggio di Europa diventa un simbolo della lotta per l’emancipazione femminile. L’artista ci invita a riflettere sul ruolo delle donne nella società e a superare gli stereotipi.
8 – Padiglione del Brasile, per un futuro più giusto
L’installazione è un’esperienza visiva e sensoriale che coinvolge il pubblico. Attraverso le opere d’arte, Al Solh ci invita a pensare in modo critico e a costruire un futuro più equo e giusto per tutti.
Il padiglione brasiliano alla Biennale di Venezia racconta la storia della lotta e della resistenza dei popoli indigeni del Brasile, in particolare dei Tupinambá. Il titolo, “Ka’a Pûera”, evoca un luogo di coltivazione che si rigenera e un uccello che cammina nella foresta, simboli di rinascita e resistenza.
9 – Padiglione del Benin, tra fragilità e resilienza
Il padiglione del Benin racconta la fragilità del nostro mondo e la necessità di prenderci cura della natura e degli altri. Si ispira alle tradizioni Gẹlẹdẹ, una filosofia africana che celebra la natura, le donne e la saggezza degli anziani.
Gli artisti beninesi mostrano come la fragilità possa essere una forza, e come la natura e gli esseri umani siano interconnessi.
10 – Padiglione dell’Australia: un memoriale per gli aborigeni
L’arte di Archie Moore racconta la storia dolorosa dei popoli aborigeni australiani.
L’artista aborigeno Archie Moore, con la sua opera “kith and kin”, ci mostra la storia complessa e dolorosa del suo popolo, che risale a oltre 65.000 anni fa.
I vuoti nel murale rappresentano i periodi bui della storia, come le invasioni, i massacri e le malattie causate dai colonizzatori.
La vasca al centro è un memoriale a tutte le persone aborigene morte in prigione.
11 – Padiglione dell’India: accettazione di sè
L’Aravani Art Project è un gruppo di donne, alcune cisgender e altre transgender, che creano murales per diffondere messaggi positivi e di speranza.
Per la prima volta alla Biennale di Venezia, questo murale attraverso colori molto vivaci tocca un argomento importante: la disforia di genere, cioè quando una persona non si sente a proprio agio nel corpo che ha. La sfida è di superare la paura e vivere una vita felice e autentica, accettandosi.
La Biennale è poco accessibile (a livello di contenuti)
“Il problema dell’accessibilità non può ridursi a quella legata all’abbattimento di barriere fisiche, ma andrebbe esteso a varie forme di disabilità (visiva e uditiva) e soprattutto all’ancor più complesso tema dell’accessibilità cognitiva o a quella tecnologica e digitale: siamo tutte persone con disabilità quando visitiamo un museo!”
Volpe, G. (2020), Archeologia pubblica. Metodi, tecniche, esperienze, Carocci Editore, Roma
Come sottolineato da Volpe, l’accessibilità culturale non si limita all’eliminazione degli ostacoli fisici. Le mostre d’arte contemporanee, e in particolare la Biennale, presentano spesso barriere cognitive e linguistiche che limitano la fruizione del pubblico.
Le didascalie, spesso complesse e criptiche rendono difficile per i visitatori non specializzati comprendere appieno il significato delle opere, spesso enigmatiche.
Credo sia fondamentale che i curatori si impegnino a rendere l’arte più accessibile a tutti, attraverso la creazione di contenuti editoriali chiari, semplici e coinvolgenti. In questo modo, si promuoverebbe una fruizione più democratica dell’arte, in grado di soddisfare le esigenze dei diversi pubblici.
E voi, vorreste dei contenuti più fruibili o siete soddisfatti della modalità attuale?
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